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La ragazza dai capelli neriUn racconto di Francesco Berti Arnoaldi |
E mi disse: sai, i miei
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Mio nipote Giacomo mi chiede di accompagnarlo alla stazione
di Grizzana a prendere il treno per Bologna, la popolare corsetta che ferma
alle piccole stazioni, anche a quelle rimaste ormai senza personale e divenute
qualcosa come una fermata di tram. Bene, andiamo. Ma quando siamo alla stazione,
mi vien voglia di aspettare il treno con Giacomo, e imbarcarlo prima di
tornare a casa. La stazione è deserta, e manca mezz’ora all’arrivo del treno
per Bologna che proprio qui incrocia la corsetta per Prato.S’affaccia al
marciapiedi un altro viaggiatore,solo; anche lui in anticipo. Mi dice subito:non
vada ai gabinetti perché dopo questa“privatizzazione" delle ferrovie
c’è sempre,con rispetto parlando, un mezzo metro di m...Ho capito che non
faticheremo a intenderci.Ha suppergiù la mia età, forse un paio d’anni di
più; vive a Roma, e aspetta il treno per Prato. Come quando due strumenti
si accordano, dopo qualche scambio di impressioni mi dice: sa, io sono impegnato
e non mi vergogno; e dice il nome d’un partito di sinistra verace.Sente
l’attenzione, che è già un segno di simpatia, di solidarietà; e va subito
a quel ricordi, che è come siano sospesi tra noi. È stato due anni internato
in Germania: la fame, i fascisti che ogni tanto cercavano di arruolare con
la lusinga del pane, ricevendo seicentomila no. Il ritorno, le lotte, le
macerie, la pace. Lo tranquillizzo:sono stato nella Resistenza, la mia brigata
era nell’alta valle del Reno. Giacomo interviene: anch’ io vado in piazza
alle manifestazioni, coi miei amici. Come dire: ti puoi fidare. La confidenza
si apre facilmente, con naturalezza. Quei tempi, che entrambi abbiamo vissuti.
Quelle morti. Il senso della libertà, infine. Ma siamo nell’acrocoro. Sappiamo
quello che incombe in questi luoghi. Passano i nomi, Stella Rossa, Lupo,
Reder. Per lui è un punto sensibile, mai guarito. Finita la guerra, mi dice,
ho trovato una ragazza quassù a Grizzana. Una bellissima ragazza – è bella
ancora adesso - con una chioma fantastica di capelli neri che quando li
scioglieva le arrivavano alla vita. Mi aspetta a casa, a Roma. Avevo saputo
subito che cosa aveva passato. Il 22 luglio 1944 i tedeschi avevano rastrellato
nei boschi oltre la Sete cinque uomini e due ragazzi, li avevano presi e
li avevano condotti incolonnati sulla strada bianca verso il paese.(Il lugubre
corteo era passato davanti a casa Veggetti, dove era sfollato Giorgio Moranti
con la madre e le sorelle: il grande pittore vide la sfilata, e rimase tutto
il resto di quel giorno sdraiato su un divano, coprendosi gli occhi e il
viso con un braccio riverso).Le guardie avevano fatto sfilare i sette prigionieri,
forse partigiani, forse contadini incontrati a caso, attraverso tutto il
paese perché tutti vedessero, tutti sapessero; finché erano arrivati all’altro
capo del paese, al Bolzo, e qui s’erano arrestati. Era giunto il momento
di uccidere.Attonita, con gli occhi sbarrati dal terrore, al Bolzo c’era
la ragazza dai capelli neri che guardava. Uno degli armati non era tedesco;era
un tristo italiano che si rivolse alla ragazza gridando: ma questa è una
testimone pericolosa, dobbiamo farla fuori. Aveva spianato il mitra contro
di lei, ma non riuscì a sparare perché un fortissimo schiaffo aveva colpito
e sviato l’arma. Era stato il tedesco che comandava la pattuglia, che aveva
a sua volta urlato: devono essere sette, non uno di più. La ragazza era
fuggita quasi fuori di sé, mentre il crepitare dei mitra chiudeva i destini
delle povere vittime. (Erano le quattro del pomeriggio, e i cadaveri di
Luigi Calisti, Alberto Lava, Giovanni e Giuseppe Lucchi, Dino Marchi, Umberto
Romagnoli ed Ezio Vedovelli rimasero insepolti, esposti come segno di terrore,
finché il giorno dopo il parroco di Grizzana don Marini li trasportò Pietosamente
al cimitero).La ragazza, tornata a casa, rimase in stato confusionale e
passò una notte di deliquio. Poi, con la fine della guerra, la vita riprese,
e pochi anni dopo la ragazza incontrò l’uomo della sua vita. Un fidanzamento
in forma e regola, infine la preparazione del matrimonio che sarebbe stato
celebrato a Grizzana. Ma quindici giorni prima del matrimonio, racconta
con un’ombra di emozione il mio compagno di attesa, lei mi disse trepidamente
che doveva rivelarmi un segreto che aveva sempre tenuto nascosto. E mi disse:
sai, i miei capelli non sono neri: sono tutti bianchi, perché quella notte
sono completamente incanutita. Li tengo neri a forza di tintura, ora lo
devi sapere. L’uomo rientra a Roma, dalla moglie che ormai non ha più bisogno
di tingere di nero i capelli, dopo cinquant’anni di matrimonio. Ma la memoria
non cede, chi cancella quei sette morti? E la voce, e gli occhi di quell’ignoto
italiano che voleva ucciderla come si schiaccia un insetto molesto, tornano
ancora nell’animo della donna ai capelli bianchi? La mezz’ora è passata
presto. I due treni arrivano. Un saluto pieno di complicità, di sottintesa
solidarietà, e via: non ci siamo nemmeno scambiati i nomi. Giacomo s’ inerpica
sul vagone del suo treno: ha seguito tutto in silenzio preso dalla forza
d’un ricordo che non aveva vissuto. Tienilo stretto, non lo dimenticare,
portalo sempre con te, tu che hai tanta vita davanti.Buon viaggio, Giacomo.